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TAORMINA (ME) | BELMOND GRAND HOTEL TIMEO | LUGLIO – DICEMBRE 2021

Intervista a NICOLA EVANGELISTI di Matteo Galbiati

 

 

 

Come nasce questo tuo progetto? Come è stata definita questa mostra che, oltre al tuo lavoro, vede anche altri interventi di artisti che, come te, hanno preso parte alla recente Biennale Light Art di Mantova?


La mostra è stata curata da Vittorio Erlindo sulla base delle recenti esperienze relative alla Biennale Light Art di Mantova. Penso che questa scelta sia avvenuta per continuità di lavoro con gli artisti che aveva già selezionato e con cui si era creata una profittevole collaborazione. La mia installazione nasce dunque sulla base di specifiche direttive del curatore che ha ideato il progetto espositivo nella sua totalità.

Per definire il progetto dell’installazione abbiamo analizzato attentamente il contesto caratterizzato da un meraviglioso paesaggio e da una natura rigogliosa. Lo skyline è mozzafiato e il parco dell’Hotel è considerato uno dei più belli al mondo. Ovviante la Sicilia ha anche un passato grandioso a livello storico e architettonico.

Di giorno l’opera è perfettamente integrata nel contesto e di notte manifesta il suo aspetto straniante e psichedelico.

 

Come è avvenuto il dialogo con questo luogo? Con il suggestivo contesto del Grand Hotel Timeo e della cornice spettacolare offerta da Taormina?


Vittorio Erlindo, ha dato una direttiva molto precisa non solo su come concepire la mostra, ma anche su come realizzarla. Raramente mi è capitato di avere a fianco un curatore così capace e determinato. Questa installazione non avrebbe avuto luogo senza la sua direzione. Tutto il processo creativo è stato monitorato dallo staff dell’Hotel e dalla Soprintendenza dalla fase progettuale e ideativa fino a quella realizzativa e installativa.

Naturalmente sin dalle prime fasi progettuali abbiamo tenuto conto del contesto urbanistico, elemento imprescindibile quando si lavora su grande scala. Abbiamo ideato una struttura imponente che si relazionasse al paesaggio senza comprometterlo. Da qui è nata una struttura disegnata nello spazio solo con linee di contorno.

Il Tempio definisce una soglia che corrisponde allo spazio del sacro, ma non lo chiude con mura e portoni.

Per il Tempio della luce perché hai scelto di ispirarti alla Chiesa di San Giuseppe a Taormina?
L’idea era quella di creare un tempio di luce ecumenico visto che all’interno avrebbero dovuto avere luogo matrimoni di varie religioni che il resort ospita. In realtà, per una decisione della soprintendenza, la struttura è stata installata in una terrazza più bassa, rispetto a quella che si pensava inizialmente che sarebbe stata a livello del teatro Greco, in cui hanno luogo solo dei ricevimenti. La paura da parte della Soprintendenza è stata quella che il tempio creasse un inquinamento luminoso nei confronti del teatro Greco. Ogni volta che devo creare un progetto site specific mi confronto con il contesto. La scelta di ispirarmi alla chiesa di San Giuseppe è da intendersi come un omaggio a Taormina in un intento di continuità con la tradizione locale. Tuttavia non si tratta di un tempio cattolico per la simbologia trasversale legata ai tre rosoni che rimandano alle religioni monoteistiche. Il sentimento del sacro è universale ed è innato nell’uomo da prima che le religioni venissero stigmatizzate. Ho inteso questa installazione come il tempio della luce, essa, infatti, è metafora del sacro in tutte le religioni. In questo senso è un tempio aperto, universale ed ecumenico. Taormina, come tutta la Sicilia è frutto di una stratificazione culturale e religiosa che si è sedimentata nei secoli grazie alle varie dominazioni. Con la mia opera volevo rappresentare la trasversalità culturale e religiosa che caratterizza questo territorio.

 

La tua installazione vive di due momenti completamente diversi: passando dal giorno alla notte si possono contemplare le due anime opposte della tua opera…


Come la maggior parte delle mie installazioni luminose, Il Tempio della luce vive nella dualità tra giorno e notte. Di giorno prevale la parte costruttiva metallica. Di notte l’opera si illumina grazie alle vernici al fosforo. Il passaggio dal giorno alla notte crea uno scarto imprevedibile che crea un’atmosfera onirica.

Nella fase notturna vi è uno straniamento percettivo dato dalle luci ultraviolette che conduce a una dimensione psichedelica, uno spazio della mente che potremmo definire una dimensione extra-cosmica.

Quali sono i temi fondamentali che tocchi con questo intervento e come si legano alla tua ricerca artistica ed estetica? Segna un passaggio differente?
Il tema centrale è quello della luce in perfetta linea con il mio lavoro precedente. La luce, come nella Light Art in generale, è da intendersi sia come mezzo che come contenuto. L’installazione è caratterizzata simbolicamente dai tre rosoni che portano avanti una mia ricerca nell’ambito della geometria sacra che ho iniziato nel 2016 con la prima mostra, a cura di Vittorio Erlindo, presso Palazzo Ducale a Mantova. Tale mostra fu la prima delle tre biennali della luce di Mantova. Hexagones fu la prima opera del ciclo geometrico ed ha rimandi alla cabala in linea con gli interessi che hanno avuto luogo alla corte dei Gonzaga. La forma stessa di Hexagones rimanda alla parte alta dell’albero della vita. Anche i rosoni laterali del tempio della luce di Taormina presentano una simbologia simile. La seconda opera che ho realizzato per quella che è stata definita la prima Biennale Light Art di Mantova è stata Emerald: un’opera legata al concetto di stanza del Tempio. Il mandala geometrico realizzato in acciaio specchiante viene riportato a soffitto grazie alla luce di un laser posizionato esattamente al centro della struttura. Questo asse è l’Axis Mundi che collega la terra e il cielo di cui parla Platone propio nel Timeo. Il tema centrale è quello del sacro, che io ho rappresentato tramite la simbologia della luce: universale epifania del divino trasversalmente a tutte le religioni. Il sentimento del sacro è alle origini delle religioni ma è anche precedente ad esso. È un sentimento presente in tutte le culture e in tutte le epoche. Non siamo sicuri di nulla, anche la scienza riscrive le proprie convinzioni continuamente. Il tempio è un luogo in cui convergono delle energie. Sono energie che provengono dall’ignoto ma anche dai fruitori della struttura. L’arte ha da sempre gestito l’estetica dei luoghi di culto cercando di interpretare le varie istanze religiose. Quando i fedeli entrano nel tempio e pregano all’unisono, l’energia che si crea è ascensionale a prescindere. L’arte e la religione ti conducono entrambe in una dimensione altra, superiore. Uno spazio della mente in cui le leggi e le logiche terrene non hanno più alcuna rilevanza. Dentro il mito può accadere di tutto, da esso possiamo cogliere un insegnamento o solamente lasciarci condurre nell’ignoto o extracosmo. La luce è la manifestazione del sacro, sia in senso metaforico che come strumento effettivo di transito da una dimensione all’altra. L’asse di luce che collega la terra e il cielo è come il cavo di un ascensore che continuamente si muove dal basso verso l’alto e viceversa a seconda che ci manifesti qualcosa o che invece ci conduca in una dimensione altra. Il luogo dove trovare questo asse è il centro esatto del tempio, dove converge la luce proveniente dai rosoni o dall’oculus nel caso di un Pantheon. Questo concetto che parte dall’Axis Mundi del Timeo di Platone è ricorrente nella maggior parte delle credenze religiose. Anche la fantascienza si è figurata che le persone vengono trasportate nelle navicelle tramite un cono di luce. La forma del raggio è la stessa prodotta al centro del Pantheon ed anche la navicella ha forma circolare. Sembrano banalità, ma su queste analogie ha indagato fermamente anche Jung.

 

 

Come deve essere vissuta dal pubblico? Come vuoi che interagisca con la tua installazione?


Mi è piaciuto moltissimo l’utilizzo che ne hanno fatto i ballerini acrobati dell’eVolution Dance Theater: Con i loro costumi neri dipinti con linee fosforescenti hanno completato in modo dinamico la fase psichedelica che si attiva nella notte durante il “sonno della ragione”. Questa performance, seppur gestita da una agenzia, è stata per larga parte il frutto di una improvvisazione e gli atleti, di loro iniziativa, si sono anche arrampicati sulla struttura. Noi effettivamente non avevamo previsto che questo sarebbe potuto accadere. Sapevamo che ci sarebbero state delle performance, ma solo nella parte bassa del giardino. Mi sono molto emozionato nell’assistere alla loro esibizione, esattamente come il resto del pubblico presente. È stato un risultato sorprendente che ha superato le nostre aspettative.

Durante il giorno il tempio è bianco e immobile e corre il rischio di non essere percepito come opera d’arte, tuttavia non mi dispiace se assume anche una funzione di arredo dell’Hotel: c’è massima libertà nel vivere e interagire con un’opera d’arte. Non voglio porre veti al suo utilizzo. È interessante per me vedere dove l’arte ti conduca a prescindere dalla tua volontà.

 

Dopo questo progetto a quali opere stai lavorando?


Ho progettato un altro tempio di luce per un importante evento internazionale. Il grande riscontro di questa installazione mi ha stimolato a proseguire nella direzione della Light Art urbana che da molti anni non ha mai smesso di darmi ogni volta grandi soddisfazioni.

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Giardini di Luce

a cura di Vittorio Erlindo

Artisti: Nino Alfieri, Davide Dall’Osso, Giulio De Mitri, Nicola Evangelisti, Fardy Maes

luglio – dicembre 2021

Belmond Grand Hotel Timeo
Via Teatro Greco 59, Taormina (ME)

Evento privato, visite guidate su appuntamento

Info: www.belmond.com

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“ILLUSIONI TEMPORANEE”
OVVERO DELL’ECONOMIA POCO VIRTUALE DELL’ESERCIZIO DEL POTERE
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BOLOGNA | Galleria OltreDimore | 30 novembre 2012 – 19 gennaio 2013

Intervista a NICOLA EVANGELISTI e OLIVIA SPATOLA di Luisa Castellini

28 novembre 2012

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ll “la” è la campanella della Borsa di Wall Street. Seguono le grida e poi una pioggia, inarrestabile, di monete. Il tutto cullato, non senza un ragionevole spiazzamento, dai mantra tibetani. È questa stratificazione sonora che ci accoglie nella Galleria OltreDimore di Bologna. Sonorità sulle quali, volenti e nolenti, ci innestiamo anche noi, con la nostra stessa presenza di soggetti di fronte a un oggetto: si tratta infatti di parte di un’installazione interattiva ove il suono genera in tempo reale la videoproiezione di una moneta. La nostra: l’euro. La stessa moneta è visualizzata nella sua forma intera ed esplosa tramite un doppio ologramma che fa parte di un’installazione in acciaio e plexiglass. Ieri come oggi sono l’economia e la guerra, divenute sempre più inodori, ineffabili, intelligenti e virtuali (come l’ologramma: splendido e seducente simulacro postmoderno) le braccia del potere. Con cui si costruisce, anche qui a “suon”, ma di bossoli, la pace e tutto il resto, crisi (economica: collettiva e personale) compresa, come si intuisce dalle sculture in ottone intorno alle quali possiamo tentare di tessere architetture “altre”, in primis di pensiero, reale o virtuale che sia. Ne abbiamo parlato con Nicola Evangelisti e con la curatrice della mostra, Olivia Spatola.


Dove affonda le radici questa mostra che per coerenza pare un’opera unica?


Nicola Evangelisti: Nasce da una riflessione sulla trasformazione della società occidentale, che ha subito una netta accelerazione dopo l’11 settembre 2011. Messa da parte l’illusione di sicurezza e inviolabilità alla guerra, al terrorismo ha corrisposto una ridondanza mediatica e quindi di controllo, dove questo non è mai solo ma sempre legato all’economia. Con il mio lavoro indago quindi lo stato emotivo e psicologico contemporaneo, che è molto sfaccettato e sfuggente.

 

Spread, Democracy… perché queste parole scritte con i bossoli di fucile?


N.E.: Perché oggi la democrazia si impone con la guerra. Siamo tornati in più di un senso ai tempi dei Romani: fare la guerra fuori – leggi oggi: preventiva – per avere la pace dentro l’impero. Con la minaccia dell’aggressore che diventa arma di controllo in un giro continuo. Così spread, euro, crisi, sono le parole della comunicazione mediatica di una società in cui l’economia virtuale e reale si affiancano, ora, ci appare chiaro, a scapito della seconda. Reale e virtuale sono due forme di realtà il cui confine è labile: ho sempre fatto ricorso a media differenti e comunque voglio restare in bilico tra scultura fisica e quanto questa si espanda nello spazio della mente.

 

Come si inserisce l’installazione in questo contesto?


N.E.: Si tratta di un doppio ologramma di una moneta sospesa su un’installazione che io vorrei definire un leggio del futuro in cui le informazioni non sono più scritte sulla carta ma visualizzabili in dati digitali tridimensionali e luminescenti. Ho composto un sound design di suoni provenienti dal mondo dell’economia e delle religioni. Una moneta dell’euro appare dal silenzio grazie a leggere sonorità ambientali, subisce trasformazioni e pressioni fino a esplodere per il default, uno sparo, chissà… Si parte con la campanella della Borsa di Wall Street poi ecco le grida e le monete che cadono in un ritmo sempre più frenetico. A questo si sovrappongono alcuni mantra tibetani perché la società occidentale e il capitalismo hanno portato l’uomo a confondere e sovrapporre economia, mercato e religione in una sorta di accavallamento continuo dove tutto è interconnesso.


Come si colloca, nell’ambito della ricerca di Nicola, questa mostra?


Olivia Spatola: È un lavoro nuovo – non ci saranno ad esempio le sculture luminose da parete con cui identifichiamo maggiormente la sua ricerca – nel quale però Nicola riprende alcune idee su cui stava riflettendo da tempo. Si tratta di una mostra molto organica, strutturata attraverso mezzi espressivi diversi e in strettissima relazione con lo spazio della Galleria. Possiamo a ragione parlare di un lavoro site-specific ove lo stesso tema è vissuto e innescato in modalità differenziali, tramite diversi media, ma coerenti.

Come si articola, dunque, l’esposizione?


O.S.: In mostra vi è un’installazione olografica, aggettante, molto particolare. Si tratta di un doppio ologramma, un lavoro complesso tecnicamente. La videoproiezione, tramite un software che rielabora i suoni in presa diretta, è interattiva ma si muove da due tracce distinte, sovrapposte in tempi sempre diversi. L’ologramma è simulacro, è qualcosa che non c’è fisicamente ma produce delle incidenze sul reale: esattamente come le enormi somme di denaro che il mercato azionario sposta, che sono evanescenti ma possono compromettere la vita di ognuno di noi. A questa installazione fa contrappunto un lavoro più scultoreo, strutturato con bossoli di fucile. Così come nell’installazione il suono deforma la moneta dell’euro fino a farla esplodere, nelle sculture il rapporto tra il significato della parola e i bossoli che la compongono dà vita a una processo di analisi e riflessione sulla società vessata dalla crisi e a priori dall’economia. Dove reale e virtuale in entrambi i casi si confondono.

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Nicola Evangelisti. Temporary Illusions
a cura di Olivia Spatola e in collaborazione con 

Galleria OltreDimore
Piazza San Giovanni in Monte 7, Bologna

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NICOLA EVANGELISTI _ BEWARE 

L’IMMAGINE DELLA GUERRA ALL’EPOCA 2.0

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MILANO | AREA35 ART GALLERY | 2 DICEMBRE 2015 – 26 GENNAIO 2016

Intervista a NICOLA EVANGELISTI di Luisa Castellini

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Il conflitto reale si consuma. Il conflitto “virtuale” si riverbera attraverso i media generando una violenza o comunque una minaccia potenzialmente continua e perpetua. I meccanismi di questa comunicazione, soprattutto nel web, sono al centro del progetto Beware di Nicola Evangelisti, in mostra a Milano.

Con il progetto Beware, che presenti integralmente in questa mostra e in un libro, porti a emergere l’antinomia tra il conflitto reale e quello “virtuale”. Quali sono gli aspetti che hai portato nelle tue opere e con quale intento?
Il mio intento non è portare nelle opere degli elementi di guerra, quanto porre una riflessione sulle modalità di comunicazione della violenza. La guerra di cui parlo, attraverso i miei lavori, è quella raccontata dai media e in particolare dal web. È proprio su internet che ho trovato gli elementi più interessanti, come i video di Anonymous e quelli di propaganda dell’Isis, realizzati con tecniche cinematografiche e post produzioni impeccabili. I telegiornali “alternativi” proposti dal web, in cui vengono argomentate le teorie complottiste, non sono meno fuorvianti di quelli ufficiali controllati dal potere economico e politico. La cacofonia dell’informazione rende impossibile farsi un’idea oggettiva dei fatti, è questo senso di “galleggiamento” sopra il dato oggettivo, lo scollamento dalla realtà, il senso di vivere in un videogame, una realtà alternativa, appunto virtuale, che voglio rappresentare.

 

Pace e guerra, nelle tue installazioni, sono traslate nella stessa semantica di piombo. La realtà si rende quindi misurabile nei suoi frammenti?


Pace e guerra sono concetti complementari: se non ci fossero le guerre la pace sarebbe semplicemente uno stato di normalità. In questo senso il pacifismo è un termine che non amo: la pace dovrebbe essere semplicemente l’assenza di guerra come condizione unica possibile e non il frutto di uno scontro ideologico e politico. Lo scontro ideologico è la condizione stessa per la quale si formano le divisioni e i contrasti sociali. Nelle mie opere, tuttavia, non sono propriamente rappresentate la guerra o la pace, bensì la modalità di comunicazione delle informazioni, la distanza che intercorre tra gli accadimenti e la loro percezione. Il piombo dei proiettili e l’ottone dei bossoli, non sono l’unità di misura della realtà, ma partes minimae delle mie installazioni.

 

Come avviene la trasfigurazione dei proiettili delle tue installazioni in elementi plastici?


C’è una prima trasfigurazione formale che porta a percepire questi elementi nella loro totalità a cui ne segue una seconda di ordine “alchemico” data dal trattamento delle superfici. I proiettili delle opere, realizzate in collaborazione con Ronald Facchinetti, sono stati cromati, mentre l’ottone dei bossoli è stato lucidato a specchio. C’è un impreziosimento del materiale che non è solo estetico ma sostanziale perché va a trasformare questi elementi nel loro rapporto con la luce. L’arte, anche se in qualche modo denuncia l’orrore del mondo, comunque lo trasfigura, lo elabora spostando verticalmente l’andamento orizzontale degli eventi.

 

Dalla tua indagine sulla crisi economica a oggi, con Beware: come si colloca nell’ambito della tua ricerca questo avvicinamento ai nodi cruciali della società contemporanea?


Il mio percorso artistico, iniziato alla fine degli anni ’90 in linea con la mia passione per lo Spazialismo di Lucio Fontana, ha visto una prima svolta in ambito sociale nel 2006 con l’installazione olografica You Are Not Safe. Quell’opera, che segna una tappa fondamentale della mia ricerca, ha avuto un completamento con un’installazione di bossoli raffigurante la stessa scritta. Alla fine del 2012 ho realizzato a Bologna una mostra personale presso la Galleria Oltredimore, a cura di Olivia Spatola, dal titolo Temporary Illusions. In quel caso ho presentato un ciclo di opere incentrate sul rapporto tra reale e virtuale nel contesto della crisi economica. Nel progetto Beware, invece, mi sono interessato alla stessa relazione in rapporto alla modalità di guerra terroristica in cui la comunicazione mediatica assume un valore determinante nel tentativo di destabilizzare i valori, le coscienze e lo stile di vita del mondo occidentale.

 

In che modo la luce, insieme al fruitore, torna protagonista nell’installazione Holy Lance?


Il massmediologo Herbert Marshall McLuhan ha definito la luce un medium senza contenuto. È paradossale l’idea di una luce che parli di luce. In questo senso è limitante l’idea che non ci possano essere bacini tematici da cui attingere che non siano quelli inerenti il medium stesso. La luce non ha mai abbandonato il mio percorso di ricerca, forse è meno evidente quando, come nel caso delle sculture di bossoli, è solo riflessa e generatrice di ombre rispetto a quando è realmente prodotta dagli elementi interni illuminotecnici. In Holy Lance, doppi coltelli e spade si dispongono a formare l’immagine di un mirino grande come l’intera parete della galleria. Le sagome in alluminio cromato, che rappresentano queste “armi bianche”, divengono specchi in cui il fruitore ritrova se stesso riflesso.

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BEWARE. Nicola Evangelisti 
A cura di Arianna Grava e Olivia Spatola
Testo critico di Paolo Bolpagni
Catalogo vanillaedizioni

2 dicembre 2015 – 28 gennaio 2016
Inaugurazione mercoledì 2 dicembre 2015, ore 18.30

Area35 Art Gallery 
via Vigevano 35, Milano

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DIALOGO CON NICOLA EVANGELISTI
DI MICHELA BEATRICE FERRI
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Nicola Evangelisti, che cosa vogliono comunicare le sue opere? Ce ne può parlare, per farci conoscere la sua poetica e il modo in cui lei fa arte? 

 

La mia ricerca artistica nasce dalla scultura, di cui è una diretta evoluzione nel medium e nel contenuto. Il processo che mi ha portato ad arrivare a forme di pura luce, partendo dai materiali tradizionali da scultore, è un percorso di trascendenza verso la smaterializzazione, attraverso il quale sono giunto a elaborare una distinzione tra forme tangibili e non tangibili. 

Il mio lavoro non intende comunicare un messaggio preciso e decodificabile, altresì, incrociando e sovrapponendosi a una 

complessa stratificazione di livelli espressivi in continuità con la storia del pensiero dell’uomo, si pone come un’occasione e un’opportunità di riflessione su varie tematiche, sia percettive che filosofiche o intellettuali. 

 

La sua produzione artistica è dedicata alle installazioni multimediali. Quale è il punto di partenza e quale il fine di questa sperimentazione? 

 

Le installazioni multimediali sono un medium, un mezzo attraverso il quale veicolare dei contenuti espressivi. Si tratta di una evoluzione dello strumento artistico; tale evoluzione è fisiologica al mutare dei tempi e delle epoche ed è capace di rispondere a una necessità di adeguamento a rinnovate sensibilità ed esigenze espressive. L’epoca di accelerazione percettiva in cui viviamo ci costringe a superare l’aspetto visivo statico, conducendo lo spettatore all’interno di una partecipazione immersiva, una autentica esperienza di vita multisensoriale. 

In quale momento del suo percorso artistico si colloca Lux Inaccessibilis? 

Lux Inaccessibilis è il nome di un’opera multimediale interattiva che si è svolta come evento della White Night di ArteFiera a 

Bologna. Si tratta del secondo lavoro di videoproiezione a tema sacro. Ho precedentemente proiettato una croce nella volta dell’abside della chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna. Si tratta anche del mio primo lavoro a tema sacro su scala urbana. 

Dove nasce la sua idea di realizzare le videoproiezioni urbane e in che cosa consistono? 

L’esigenza è quella di ideare e realizzare nuove possibilità percettive del contesto urbano: non si tratta di una semplice giustapposizione di elementi scultorei, ma di disegnare una differente architettura in dialogo con quella esistente. I valori e i contenuti possono essere gli stessi di un’opera di differente collocazione, ma il semplice fatto di dialogare con l’architettura e gli spazi urbani ne amplifica la portata percettiva. Un’opera d’arte abitabile, fruibile, capace di alterare lo spazio urbano è una responsabilità maggiore rispetto alla creazione di un oggetto che vivrà nel contesto di una casa privata. 

 

Lux Inaccessibilis può essere definita un’opera d’arte sacra contemporanea? È la prima volta che la tematica del sacro viene contemplata all’interno del suo lavoro artistico? 

 

Il sentimento del sacro previene qualsiasi forma di pensiero intelligibile e razionalizzabile: si tratta di un’attitudine connaturata all’uomo di percepire, a livello intuitivo, l’esistenza di entità spirituali disgiunte da qualsiasi tipo di “legame” o religione decodificata. Il sentimento del sacro stabilisce direttamente una distanza tra noi e una alterità inconoscibile; di qui il senso di mistero, rispetto e fascinazione che subiamo nell’istante in cui accettiamo la possibilità di lasciarcene investire. Con tali premesse ritengo Lux Inaccessibilis una autentica opera di sacro contemporaneo. 

Lei ha definito Lux Inaccessibilis una scultura di luce. Quali sono le premesse fondanti la sua interpretazione artistica di un’opera medievale e quale significato attribuisce al titolo della video proiezione? 

L’immagine di Lux Inaccessibilis è ricavata dalla struttura geometrica del Crocefisso di Giunta Pisano. Si tratta di un ideale pas- saggio dall’interno all’esterno, in cui l’oro della croce duecentesca diventa una luce reale che muta continuamente nella sua morfologia e nelle sue variabili cromatiche. Rielaborando la struttura geometrica della croce con l’utilizzo della grafica digitale si produce un’immagine di luce in continuo mutamento e ridefinizione. I successivi e consequenziali passaggi luminosi e modulazioni cromatiche creano immagini ora liquide e fluide, ora infuocate e ardenti, in un costante cambiamento di percezione della materia. Il Crocefisso originale di Giunta Pisano è collocato in corrispondenza della proiezione, ma nella parte interna dell’abside. Come un’emanazione del vero crocefisso in legno, la croce di luce diffonde la propria presenza all’esterno: una forma di luce in sospensione spaziale. Simbolo di passaggio, la croce oltrepassa i confini materiali della chiesa – quale costruzione architettonica – e promana la presenza della propria forza spirituale nella dimensione universale. Si tratta di una ideale proiezione dall’interno all’esterno, passaggio di luce, dal greco paschein (da cui “pasqua”, passaggio, transizione verso la salvazione attraverso la catastrofe), vettore di suggestioni colme di una spiritualità del tutto laica e – per questo – ancora più forte e fondante, irreparabilmente necessaria. 

Lux Inaccessibilis si sovrappone allo spazio del chiostro come un affresco digitale, pelle dell’architettura del nuovo millennio. La scultura di luce varia di forma e di colore in diretta interazione con i suoni ambientali e il sound design creato appositamente da Jan Maio: frammenti di musica sacra e medievale si intrecciano alle dissolvenze luminose che definiscono – di volta in volta – un nuovo spazio e suggeriscono nuove suggestioni visive. La croce – elemento simbolico di passaggio e salvazione sottolineata dalla luce, tramite di sapienza e rivelazione – potenzia e aumenta la portata del proprio messaggio spirituale, spingendosi fino alle soglie di una possibile Conoscenza Universale. 

Il titolo della mia opera è riferito ad un passaggio teologico fondamentale tratto dall’omelia numero 9 dell’Esamerone di sant’Ambrogio: soffermandosi sulla creazione della luce cosmica, il Vescovo ricorda che Dio vive in una “Lux Inaccessibilis”, ma che attraverso la sua parola, ovvero attraverso il Logos, il Figlio divino, fu creata ogni luce fisicamente percettibile. In questo senso la Croce assume la valenza di passaggio, congiunzione tra noi e la luce divina, che diversamente sarebbe inaccessibile. La luce che percepiamo con i nostri sensi limitati è la luce fisica che ci è stata donata tramite il Figlio di Dio. 

 

Riguardo a Lux Inaccessibilis, lei ha fatto cenno della metafisica della luce: in che modo può essere protagonista all’interno dell’opera? 

 

Il sacro è un mezzo di trascendenza e l’arte sacra può essere vettore di tale superamento dello spazio misurabile. La metafisica della luce è un ambito culturale disomogeneo e controverso in cui è molto difficile orientarsi, tuttavia vi sono analisi interdisciplinari che ho sicuramente valutato con estremo interesse. A partire dalla cosmologia di Roberto Grossatesta – considerato tra le voci principali di quella disciplina che ha preso in seguito il nome di “metafisica della luce” – il Lumen è visto come una entità spirituale e sovrasensibile che abita il primo cielo dell’universo e tramite la propria spinta centripeta è in grado di creare e dimensionare la densità della materia. È nell’incontro con la materia stessa che la luce diviene percepibile come realtà naturale. La luce (LUX) è lo strumento attraverso il quale si struttura l’universo e ogni essere corporeo animato e inanimato; è non solo metaforicamente ma anche scientificamente elemento imprescindibile alla nascita e al sussistere della vita. L’utilizzo della luce artificiale all’interno del mio lavoro simboleggia idealmente una riappropriazione della Lux, volta a una autentica rinascita e rinnovata spiritualità, recuperando in tal senso anche il significato della Pasqua, intesa come passaggio e tramite per una vita nuova. L’opera d’arte diviene il controcanto reale, la trasfigurazione di una dimensione spirituale. 

Quali sono gli strumenti che aiutano a comprendere come il sacro dialoga con l’arte contemporanea? 

Occupandosi l’arte di ciò che riguarda la vita e il pensiero dell’uomo, trovo del tutto naturale e consequenziale che veda anche nell’ambito del sacro – considerato alla stregua delle altre grandi arterie che informano l’esistenza umana – uno dei suoi principali terreni di studio e ricerca. 

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Quale idea, religiosa o non religiosa, sta alla base di Speculum Solis, realizzata sulla facciata della chiesa di San Procolo a Bologna?

 

In Speculum Solis ho trasformato il rosone esterno della chiesa di San Procolo a Bologna nell’immagine del sole, già presente al centro della cupola del coro, recuperando e reinterpretando l’antica iconografia cristiana di luce divina ed emblema del sacro. Simbo- leggiando entrambi – il sole e l’acqua – la nascita e la custodia della vita, questi due elementi vivono di stratificazioni, provenienti da diversi retaggi ed epoche, e di diversificazioni che si succedono a livello sia stilistico che semantico. 

Coincidendo nell’entità liquida della propria materia, acqua e fuoco solare, ritrovano una complementarità e quasi un comple- tamento attraverso lo specchio ed il riflesso che l’uno fa nell’altro e viceversa. Nella sua Teogonia, Esiodo lascia che Helios e Selene nascano contemporaneamente assieme a Eos (Aurora): una sorta d’identificazione tra luce e buio, passando attraverso la medietà di ciò che è sia l’una che l’altro senza essere nessuno dei due. Identità nella differenza, alterità nella sovrapposizione dell’essenza ultima della sostanza. Una coincidentia oppositorum entro la quale non possono esistere divisioni o contrapposizioni e nulla è solamente ciò che è. L’inizio coincide con la fine da cui scaturirà un nuovo inizio (l’alfa e omega di un “eterno ritorno” universale): divinità celesti e divinità ctonie, apollineo e dionisiaco, luce e ombra, feminino e mascolino non possono esistere al di fuori della complementarità e della reciproca convivenza, non possono darsi se non nell’unità delle parti. Allo stesso modo l’acqua, privata del sole, sarebbe soltanto una parte di acqua, potendo raggiungere la propria comprensione e completezza nel rapporto biunivoco con l’alterità che le appartiene. A sottolineare tale sovrapposizione, sia a livello fisico che filosofico, la videoproiezione stabilisce una evidente identità tra i cerchi concentrici provocati dal movimento dell’acqua e il medesimo effetto che a livello ottico produce la luce del sole. La “Lux Inaccessibilis” divina, accecante come la luce del sole, viene mediata dal riflesso dell’acqua che, come un varco, ci permette di vederla e di lasciare scaturire un processo di purificazione. 

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Genus Lucis – realizzata nella basilica di San Luca a Bologna – si configura come il terzo progetto di un ciclo di opere che, nell’ambito del sacro, indagano il concetto di “passaggio”. Quali le ragioni filosofiche e formali dell’opera? 

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Genus Lucis è un riferimento alla metafisica della luce, in particolare è una citazione dall’Hexaemeron, commento alla Genesi di Roberto Grossatesta. La filosofia naturale di Grossatesta si fonda sull’idea di un universo costituito e compenetrato dalla luce. 

Grossatesta afferma che ogni forma esistente è un qualche genere di luce (aliquod genus lucis): essa è forma prima di ogni ente, origine, propagazione e sviluppo. Manifestando sé stessa rende palese l’esistenza dell’ordine naturale, tanto nella parzialità che nella totalità delle cose. Così come le dottrine alchemiche, impegnate nella ricerca dell’assoluto, individuavano differenti e digradanti livelli di oro (tra i quali il metallo era annoverato tra i più bassi, rispetto all’autentico oro spirituale, dimora dell’eternità), così nella metafisica della luce la materia luminosa è immagine ed epifania terrena di un più alto genere di luce, divino e spirituale. Semplicissima e priva di parti, indifferenziata e fonte di ogni differenziazione, diviene tramite per la concezione della dialettica trinitaria. Nella sua capacità di autogenerazione ed autopropagazione è manifestazione del divino: “lumen de lumine, deus de deo”. 

 

Quali elementi della filosofia di Roberto Grossatesta hanno più colpito il suo immaginario artistico e contribuito maggiormente alla realizzazione di queste sue opere? 

 

Leggere e studiare è parte integrante e fondante del mio lavoro artistico. Ogni opera che realizzo ha un suo fondamento teorico che nasce da studi di filosofia, scienza (cosmologia), sociologia e massmediologia. Grossatesta ha sviluppato una “filosofia della luce” che resta un unicum all’interno del pensiero filosofico e teologico ma è anche stato tra i precursori del pensiero scientifico, anticipando nel De Luce (vera e propria costruzione cosmologica) la teoria dell’espansione dell’universo. Da uomo di Chiesa (era ve- scovo di Lincoln) parla della luce in senso fisico, identificando in essa il principio causale della nascita dell’universo. Nella Genesi vi è un momento preciso che segna l’inizio dello spazio e del tempo: si tratta del “Fiat Lux” che Grossatesta individua nell’esplosione di un punto adimensionale di luce che per proprietà autogenerativa si sviluppa in tutte le direzioni a cerchi e sfere concentriche sedimentando la materia. La teoria dell’espansione dell’universo (il Big Bang) sarà formulata compiutamente nel 1927 da un altro rappresentante della Chiesa cattolica: il fisico e sacerdote Belga Georges-Henry Lemaitre. 

 

In che modo il suono reagisce con l’aspetto visuale dell’opera? 

 

Genus Lucis, come le altre due opere, è un progetto multimediale, sintesi di differenti media che strutturano una sinergia in cui il risultato finale è maggiore della somma delle parti. Immagini e suoni si motivano reciprocamente amplificandosi gli uni gli altri. Il suono appare la scaturigine delle immagini allo stesso modo in cui le immagini sembrano provocare i suoni, amplificazione sensoriale a livello sia percettivo che semantico. Nicola Evangelisti, il musicista mio omonimo, si è occupato del sound design e del raccordo con il coro della Cappella dei Servi (che si è inserito nella parte centrale del video), musicando ogni singolo movimento dell’opera. Il passaggio dai suoni iper-contemporanei al repertorio classico del coro si è svolto nella massima continuità, creando veramente un’atmosfera mistica nel momento centrale dell’apparizione del simbolo mariano. 

In quali termini concepisce la sua dialettica con il sacro e come il sacro diventa parte costitutiva della sua produzione artistica? 

Il sacro artisticamente inteso è un tema di natura filosofica e l’arte da sempre si è fatta interprete di pensieri di tale natura. Penso che il mondo dell’arte dovrebbe affrancarsi da una visione dualistica e lasciarsi trasportare da un sentito autentico, scevro da strumentalizzazioni ideologiche sia in un senso che nell’altro. La mia concezione di arte che instauri un dialogo con il tema del sacro prevede la visione dell’opera d’arte come un fatto non mai concluso e continuamente in ridefinizione di sé stesso: così intendendo l’opera diviene un tassello utile alla riflessione e alla prassi filosofica piuttosto che un episodio concluso che si ponga di mostrare una qualsivoglia posizione preconcetta. Per questo il sacro può essere campo di interesse artistico così come può esserlo qualsiasi altro avvenimento che abbia in sé una stratificazione di molteplici e variegati valori semantici. 

 

 

 “Sacro Contemporaneo” - dialoghi sull’arte

di Michela Beatrice Ferri

Edizioni Ancora

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